Mi dicono di lasciar perdere. Di non fare gli auguri per il primo maggio perché ormai è più la festa degli inoccupati che dei lavoratori. Troppa gente senza stipendio che non ha voglia di sentirsi rivolgere auguri ipocriti.
Mi domando: non è forse un lavoro vivere? E rido della mia ingenua retorica. Intesa più come una celebrazione che come festeggiamento, la giornata di oggi deve invitarci a riflettere. Con un pizzico di evidente retorica dosata per essere puramente incisivi. Cosa direste al padre della sposa che fa un discorso a fine pranzo nuziale, (pieno di vermentino, cannonau e filuferru in egual misura), che è troppo retorico?
La data del primo maggio è stata scelta dagli statunitensi per ricordare, tra le altre, la rivolta di Haymarket a Chicago nel 1886. Quei lavoratori non si battevano per il diritto all’occupazione in senso astratto, ma per ottenere condizioni degne e paghe adeguate. Non volevano lavorare, volevano vivere. Volevano esistere, non sopravvivere. Nella nostra costituzione, all’articolo 4, ancor più che all’articolo 1, il concetto trova la sua più alta chiarezza:
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Oggi è più facile spingere una carriola che mandare avanti una famiglia. Anche mettersi in fila per prendere una busta di viveri alla casa della fraterna solidarietà è un lavoro degno. Come lo è il volontariato non retribuito. E piango di rabbia solidale quando penso a tutti quelli che si sono arresi, che hanno smesso di cercare occupazione o, peggio, hanno deciso di togliersi la vita. Badate, dietro quei suicidi non c’è solo la disperazione, c’è la paura di non essere più degni e adatti per questo mondo e per chi ci ama.
Per questo oggi auguro a tutti che il primo maggio sia simbolo e cuneo per una nuova primavera. Costruita da tutti noi, giorno per giorno, anche senza lavoro, anche nella nostra dignitosa povertà. Ecco perché l’augurio è rivolto a tutti quelli che restano e che fanno. Anche noi siamo lavoratori.
E daggi oggi il nostro pane quotidiano, ovvio.

Luca Losito

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