… e abbiam trovato un attore!

Cercasi tenore è un giocattolo perfetto. Erede di certe strutture narrative che vivono di vita propria dove ogni personaggio fa il suo, dove lo spettatore si sente parte della drammaturgia perché sa dove andrà a parare la vicenda e ne diventa complice. E quando uno spettacolo così incontra un attore sincero e che porta tutto a segno come Gianfranco Jannuzzo, l’alchimia è assolutamente magica.

Jannuzzo è un comico fisico. Per farci ridere di gusto gli basta essere in scena. Ma lui non si accontenta di questo grande dono, frutto di talento e studi sul ritmo; Jannuzzo parla e sa come dire le cose, ma ancor di più quando dirle e quando tacere. La sua comicità è fatta di pause, di respiri, di contrattempi cari più allo spartito che al copione. La sua musicalità corporea è data da pochi gesti la cui ripetizione è sempre esattamente identica, pulita, straordinariamente geometrica. Tanto basta per rendere un testo che potrebbe sfiorare semplicemente lo sketch cabarettistico un’opera che diverte pubblico e attori in scena. Ma andiamo per ordine:

La trama è semplice quanto basta per creare situazioni comiche incontrollabili: Jannuzzo è Max, il goffo e timido factotum di un produttore senza scrupoli che ha ingaggiato per una serata il grande tenore spagnolo di fama internazionale, Tito Moreno, interpretato da un altro attore d’eccezione che porta il nome di Federico Pacifici. La sua è una interpretazione che lascia il segno. L’opera che Moreno dovrà cantare è l’Otello di Giuseppe Verdi, nella sua valigia ha addirittura due costumi del moro di Venezia, e non è un caso. Moreno ha passione per l’alcol e le donne e per questo viene seguito a vista d’occhio da Max con il quale entra in confidenza. Il galoppino gli confessa di avere velleità artistiche e una discreta voce lirica, ma di essere totalmente terrorizzato alla sola idea di salire sul palco. Moreno muore per aver accidentalmente ingerito troppe pastiglie mischiate con superalcolici e dopo vari dinieghi sarà proprio Max ad interpretare, col viso dipinto e il classico costume del gelosone shakespeariano, l’opera in teatro. Sarà una serata strepitosa e Max “Tito Moreno” verrà lungamente applaudito. Salvo poi veder risuscitare proprio Moreno, ex morto apparente, che durante lo spettacolo tenterà di introdursi a teatro spacciandosi per se stesso e cercando violentemente di far riconoscere a tutti la sua identità.

In questo efficace teatrino entrano in scena vari personaggi, stereotipi del mondo della lirica neanche tanto distanti dalla realtà:

Il produttore che ha caro solo l’incasso a fine serata, la filantropa e amante della lirica ma ignorante (sua se non sbagliamo una battuta meravigliosamente confusa che parla di una cinesina tisica che si butta da Castel Sant’Angelo in un miscuglio di Turandot, Boheme e Tosca). E ancora la giovane cantante che tutto farebbe per la carriera, anche provare a sedurre Moreno, la figlia del produttore, una bellissima e altrettanto bravissima Claudia Coli, la moglie di Tito Moreno (è lei che incarna ancor di più la gelosia otelliana), il fattorino dell’albergo, con atteggiamenti provocatori omosessuali nei confronti del tenore, a volte velati altre volte espliciti, mai volgari. Quest’ultimo è un meraviglioso Fabrizio Apolloni, che si diverte ad interpretarlo e volteggia leggiadro in scena con pura comicità, e questo al pubblico piace molto. Una nota di merito per tutti gli attori, bravi davvero tutti.

Cercasi Tenore è un testo di Ken Ludwig andato in scena per la prima volta a Londra nel 1986. Ludwig nella vita è il rappresentante legale di tanti artisti di fama internazionale, che si presta anche alla drammaturgia e raccoglie premi su premi. Cercasi tenore è un testo tradotto in sedici lingue che per due anni di repliche ha sbancato i botteghini di New York. La versione italiana, fortunatissima anche perché il belpaese vive di lirica e divismo, è azzeccata, e non poteva essere che Jannuzzo ad interpretarla. Forse solo Gigi Proietti, ipotizziamo, ma con una verve comica molto differente da quella carica di dialettismi che Jannuzzo porta in scena ammiccando anche al sardo. Abbiam registrato un saluto turritano spagnoleggiante che suona ZI VIDIMMUS… e un altro, più isolano: CHE SEGAMENTU DE CONCAS…

La regia è del perfetto Giancarlo Zanetti, una delle rare certezze del teatro italiano. Strepitose le scene di Nicola Rubertelli e gli arrangiamenti musicali di quel Luciano Francisci storico collaboratore di Diego Cugia per la colonna sonora di Jack Folla. Applausi.

 

Luca Losito

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