Un poeta e un po’no.

Giovanni Andrea Negrotti, per gli amici Gianni, in arte GAN, tutto maiuscolo, a prima vista  non sembra avere niente da nascondere.: è elegante e ha l’aria di essersi preparato per questo appuntamento. Un po’ sa cosa dire e un po’ no. Ma tanto a Sassari si fa presto a dire che uno è un cu***oni, basta che faccia qualcosa.

“Esatto, è proprio così. Ma a me non me ne importa niente e vado avanti!”

Lo afferma con un’impostazione nasale da far storcere il naso e un sorriso un po’ forzato di certi sassaresi; ma più l’intervista si dipana più sembra essere così orgoglioso di appartenere a questa ziddai tanto da sembrare neanche appartenerle. Si siede davanti a un Cagnulari, ma forse si era già seduto e io non me ne ero accorta, e anziché berlo, parla; questo è ancor meno sassarese, pare. Comincia a parlare della città di Sassari dicendo che per lui è un mistero: un mistero le sue origini, un mistero che la gente ci resti, un mistero che la gente ci creda ancora. Potrebbe essere perfetto per una trasmissione tv; almeno i primi tre minuti. E se è affascinato dalla sua città e dalla sua storia, dei suoi strani abitanti GAN sottolinea la tendenza a sminuire l’altro, a ciaramiddà, a dire “già ne parliamo”… e la diffidenza.

Ma se un alieno precipita a Sassari e ti incontra, oltre ad essere sfigato, e ti chiedesse dove si trova, tu che gli diresti?

“Gli farei visitare tutta la città, lo porterei in giro, ho fatto da Cicerone molte volte, lo sai?”

Povera gente. Non torneranno mai più in città, vero?

“No. Io credo che torneranno. Magari saranno più fortunati e quel giorno io non ci sarò (ride)”.

Ma perché non ti incazzi? E soprattutto: come si diventa poeta? E come si diventa GAN?

“Intanto devo dire che il mestiere di poeta me lo hanno affibbiato. Non sono mai stato di quelli che si atteggiano, che si vestono da poeti, che di notte si svegliano per comporre. Io di notte dormo, sarà che sono crepato da una giornata di lavoro e scaricare bombole non è proprio cosa per gente mingherlina”.

Ma allora quando scrivi?

“Durante le pause di lavoro. Non mi ritengo un poeta, sono prima di tutto un uomo che bada alla sostanza più che alla forma. Nei miei lavori come in quelli degli altri leggo l’anima di chi scrive, non solo l’esercizio di stile, la tecnica“.

L’esercizio di stile, la tecnica… citi cose, parole, pensieri che hai sentito in giro?

“No, cose che ho letto. Da bambino leggevo e scrivevo storie di avventure. Mi piaceva molto Pascoli e siccome amavo Silvio Pellico avevo scritto un quaderno dal titolo LE MIE POESIE”. Poi l’ho perso“.

Cosa che la popolazione mondiale forse non rimpiange…

“Ma io sì. O meglio, io bambino sì. L’ho perso e non so dov’è finito. Ora ne ho un altro“.

Io invece, tra le cose che ho letto, ho letto che hai preso un sacco di premi. Quanto hai pagato perché ti premiassero?

“In genere più che pagare sono io che mi faccio pagare (ride). O almeno dovrei farlo più spesso (ride di più). Ti racconto tutta la storia di come ho preso l’ultimo premio importante?”

Lo hanno premiato perché evidentemente, rispetto ad una parziale valutazione della giuria, è stato bravo. Nulla da dire, nulla da aggiungere. Quanto al farsi pagare forse questo rivela un’altra misura tipicamente turritana ereditata qualunquisticamente dalla presenza in città dei genovesi: l’azziccaggine. Ma quel che conta è che è più di mezzora che provo a provocarlo, e invece GAN riceve le critiche e le fa diventare stimoli, riconosce la sua umanità come fonte di distacco perché “essere troppo buoni fa paura“. Ed ecco perché dona in beneficenza ciò che guadagna tramite la scrittura: GAN da tutta l’impressione di voler chiedere al genio della lampada la pace nel mondo.

Una volta qualcuno ti ha detto che c’è un momento in cui un poeta deve smettere di scrivere e cominciare a leggere. Una critica un po’ feroce nei tuoi confronti…

“Ma sincera! Troppo facile fare i complimenti, apprezzo invece molto chi mi critica, chi mi fa a pezzi, sempre se me lo dice in faccia ed è aperto al dialogo. Solo così si cresce, si migliora, si diventa migliori…”

Perché pensi che piaccia o debba piacere agli altri ciò che scrivi?

“Perché sono sincero. Ragiono su quello che devo scrivere. Il racconto Dannata, ad esempio, è stato premiato per la forza dei sentimenti. E siccome hanno messo in ballo i sentimenti tutti i proventi della vendita del racconto online andranno in beneficienza alla Misericordia di Firenze”.

Che uomo sensibile!

“Sì. Ma non sfrontato. A volte ci sono avvenimenti terribili sul pianeta e a me vien voglia di scrivere poesie. Ci sono, no?”

Chi?

“Quelli che subito scrivono sulle disgrazie. Io no. Io lascio sedimentare le mie impressioni e non mi lascio influenzare dai giornali e dalla televisione. Ho come dei flash e mi immedesimo… e poi scrivo. Come la volta che ho scritto la poesia per i terremotati dell’Abruzzo.

Come se non gli bastasse la disgrazia… anche una tua poesia?

“Ogni croce ha la sua tragedia (ride)”

Neruda si chiedeva come si diventi poeti. Tu che ne pensi?

“Me l’hai già chiesto. Però ora che hai citato Neruda posso dire che io ho letto Neruda dopo aver già scritto tante cose e ho notato che alcune delle sue poesie si assomigliano alle mie…”

E presuntuoso…

“Sì. Potrebbe sembrare.”

Alla fine di tutto riesce anche a bere il vino, finalmente. Ti piace questo vino? Com’è?

“Buono”.

Non avevamo dubbi. Anni fa GAN ha anche scritto una poesia sul vino e l’ha regalata al nostro direttore che per un caso è seduto proprio al nostro stesso tavolo, GAN gli domanda se ce l’ha ancora e Luca risponde così: “Sì, sì, io conservo tutto. Anche le ca***te”.

 

Valentina Cei

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