Ho una grande fortuna. Posseggo una copia del dizionario italiano-sassarese di Giosue Muzzo. Lo sfoglio ogni volta con piacere, scoprendo parole che non conoscevo e termini che, anche isolatamente, raccontano la meravigliosa cultura popolare della mia città. Attaccabrighe, manomissione, barcamenarsi, fidanzamento, pappafico… lascio al lettore la curiosità di trovare la traduzione turritana, non si tratta di mera equivalenza ma di un salto in una cultura parallela.
Del resto, chi tradurrebbe pindacciu con un banale menagramo?
A Sassari un pindaccio fa molti più danni di uno scontato iettatore, lo sappiamo tutti.

Ridacchio tra me e me, sento vicina una Sassari che più di ogni altro tempo mi appartiene.
E quasi per caso scopro una dedica in seconda di copertina, dove l’autore chiarisce quale attaccamento vive quotidianamente per la sua Ziddai, la Thatari Manna di cui tanti poeti cantano:

Alla mia Sassari
Ove mi arrisero i sogni
Che nel tumulto del mondo svanirono
Ed ove ho fatto ritorno
Perché mi sia meno amaro
L’estremo valico

Pochi commenti fattibili; oppure troppi? Se il lettore mi ha seguito fin qui può ben vedere che ogni equivalenza con la Manhattan di Woody Allen non è poi così assurda. Nessun altro posto dove vorrei vivere, racconta il regista statunitense, che non regala invidia, ma solo ammirazione. E noi? Siamo capaci di desiderare una città che ci appartiene ancor prima di appartenere ad essa, o desideriamo vivere altrove?

Luca Losito

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