Mia figlia, per ragioni di studio, ha preso in affitto un appartamentino a Sassari, proprio sul limitare del centro storico.

Mi sono reso conto che è proprio a metà strada tra il Centro di accoglienza notturno gestito dal volontariato Vincenziano e la Casa della Fraterna solidarietà. Due organizzazioni che, già dal nome, si capisce a chi e a cosa si dedicano. Spesso quando vado a trovarla vedo scene surreali. Persone in fila, lungo la pubblica via, che tentano di non dare nell’occhio, aggrappate ancora a quei due fili intrecciati che le legano a questa specie di mondo: speranza e dignità.

A volte porto loro quello che posso, lo lascio a quei volontari animati solo dalla voglia di rendersi utili, sotto gli occhi imbarazzati di chi è in coda. Non credo ci siano molte cose più umilianti di quell’attesa sotto gli occhi della gente “per bene” che passa e guarda con compassione.

Un’umanità accomunata dalla sofferenza, non si sa se più fisica o morale, che sembra lanciare un monito ai passanti: occhio, che siamo tutti in coda, per questa coda. E negli ultimi tempi ho sempre meno voglia di divertirmi.

In poche parole questa è la storia senza capo né coda, anche se a ben guardare la coda c’è, eccome, e ogni giorno si allunga, ma è come se fosse invisibile. Tutti guardano ma nessuno vede, o magari si fa solo finta.

Una coda di persone che pensa ancora alle code di quegli scampi che solo ieri mangiava, magari anche un po’ annoiata, o che magari non ha mai assaggiato. E che Dio ci scampi da quella coda, che adesso non è più in autostrada, dove tutti avevamo la coda di paglia, su una bella automobile, con un bel cappellino di paglia di Vienna.

«Ah, questa macchina mi costa quanto un figlio, se non di più!»

Adesso tra quella gente, quella della coda intendo, c’è chi la paglia ce l’ha nei capelli, per le notti all’adiaccio; capelli che qualcuno se li è raccolti in una coda. Coda (maledetta) e paglia.

È vero, cavolo: i figli! Alcuni sono piccoli, con i vestiti ancora nuovi, chissà ancora per quanto. Altri grandi, con una bella laurea incorniciata in cameretta, sempre quella da quando erano piccoli.

Questa, dicevo, è una storia senza capo né coda, un po’ sconclusionata, e forse anche senza storia. Sbaglio? Boh, però un bel po’ di storia ce l‘hanno quelle persone in coda, che ti guardano con la coda dell’occhio, per vedere se le vedi, se le guardi, sperando che forse non le riconosci, in quella coda, di vite bastarde, davanti alla porta dell’ultima spiaggia. Vergognose.

«Dai, su, non guardarli, poverini, che li fai sentire a disagio.»

Ah sì l’ultima spiaggia, l‘ultima! Prenotata proprio l’anno scorso on line, con l’Iphone e la Carta Sì. Che poi Carta Sì non è altro che l’anagramma di Caritas, lo avevi mai pensato? No? Vedi le combinazioni! E dire che molti pensano che si scriva Charitas, no quella è un’altra cosa.

Una storia assurda e sconclusionata, questa, di vite che ci si prende per la coda, e anche per i fondelli; che si spera ancora in una pozione con la coda di rospo, non quella del ristorante, no, ma quella della maga. Ché magari un miracolo o un incantesimo… o un gratta e vinci!

Ieri invece che coda c’era? Ah, sì, quella per l’ultimo telefonino, quello che ti fa parlare in videoconferenza e ti fa condividere, in allegria, i tuoi momenti più belli con tutti i tuoi amici. Qualcuno ce l’ha ancora in tasca, ma non lo usa, forse domani qualcuno glielo compra e poi di nuovo in coda. Proprio l’altro ieri si faceva la coda in banca, ché i bei tempi in cui si poteva andare direttamente dal direttore erano finiti e anche il direttore era cambiato. Ah, la crisi. Ma solo un ultimo sforzo, su! E poi si potrà ripartire! Tutti in coda!

E siamo tutti in fila per quella coda, anche se oramai nulla più fila. È solo questione di tempo.

Anche se questa è la storia senza capo né coda, a ben vedere il capo c’è. C’è sempre un capo. Si deve solo sperare di riuscire ad andare a capo e che il foglio non sia finito, perché questa storia – che, ricordo, è sempre senza né capo, né coda – si sta sporcando.

Capo che basta un niente e diventa poca. Poca fiducia. Poca che in un attimo diventa porca. Porca miseria, la miseria.

C’è anche da dire che la coda poco ci mette e diventa cado oppure corda. L’importante però è che quella corda non penzoli stretta attorno a qualche capo sotto i nostri occhi: «Be’, ciao ora ce ne andiamo, ché la coda è diventata corda arrosto e alla ziminata non è bello arrivare tardi».

Mario Borghi

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