Avrei preferito tacere perché in questi casi è troppo facile strumentalizzare. Ma poi, stuzzicato da un provocatore di professione, cedo volentieri e cado nella polemica sulla chiusura dell’ex questura occupata. Spero vivamente di non essere frainteso.

Mettendo da parte le opinioni personali su alcuni personaggi che bazzicano intorno alla struttura, abbandonate le banalità illustrate sui social network, compresi gli entusiasmi inutili e accolte le lacrime ragionate, la città su questa vicenda è chiaramente divisa in due; perché l’ex-q è nato come edificio occupato, poi ha tentato la via del centro sociale, e infine è diventato uno spazio culturale.
Poca chiarezza, forse.
Gestione poco trasparente, chissà.
Chiusura nel coinvolgimento di un certo tipo di artisti… boh.

C’è chi urla “è la fine!”, c’è chi urla “era ora!”. Si sa: chi fa viene amato oppure detestato. Solo chi non fa non riceve alcunché.
Ma in ogni caso: cosa c’entra tutto ciò con il voler tarpare quelle ali spontanee che generavano arte a tutto tondo?
Ecco perché non si capisce questo tardivo intervento a sanare chissà quale situazione e sfrattarne gli occupanti, una volta abusivi, ora palesi abitanti di un edificio inutilizzato che era stato restituito alla città con gioia e proposte davvero alternative.
Che ci piaccia o no. Qui non si dice cosa è meglio, qui si giudica l’esistenza.

E fanno sorridere amaro, se non apparire vividamente grottesche, tutte quelle proposte di dialogo che troppi amministratori, a volte senza averne titolo, usavano come bandiera per far star calmi gli “anarchici”, i facinorosi, quegli artisti strani che anche a guardarli fanno un po’ paura… forse si drogano, pure.

Questa chiusura fa male a tutti. E quell’immagine dei blocchetti di cemento che ne chiudono l’ingresso fanno tanto pensare a quell’uomo che urla nel buio, ubriaco, ancora in cerca del barile di Amontillado tanto caro a Edgar Allan Poe.
Una cultura murata viva, ancora sul nascere, dove tanto c’era da dialogare, trasformare, evolvere.
Meglio il muro. Meglio non vedere. Meglio non assistere. Meglio il grigio. Meglio niente.

Perché l’errore più grande che si può fare, ora, è quello di attaccare o difendere uno spazio come l’ex-q, dove la proposta culturale era quantitativamente significativa, se già non si vuol entrare nel merito della qualità, non avendone le capacità per valutarla.
Anteporre i gusti personali a quella che era una pura emissione di cultura – in una città dove spesso di tutto si è fatto per distruggere – ci porta solo lontano da questa ilarica tragedia.

Quale tempo fa qualcuno promosse un sondaggio su facebook: chi pensi che ci sia lì dentro e che cosa faccia?
Domanda pericolosa, tendenziosa, portata da una sola risposta che allontana dal ragionare su ciò che uno spazio di quel genere può offrire. Allora si chiude! Soluzione finale! Immediata! Via! RAUS!

Perché la domanda, l’unica forse che meriterebbe una risposta, non è se l’ex-q debba essere aperta o chiusa, ma che tipo di offerta culturale vogliamo per il futuro della città di Sassari.

Luca Losito

 

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