Sarei curioso di sapere quanti tra di voi si sono posti, almeno una volta nella propria vita, la seguente domanda: “Perché Sassari non è una città turistica?” Io confesso di averlo fatto più volte (della qual cosa mi dolgo), in particolare di ritorno da viaggi spesi in località talvolta meno suggestive e più avare di storia rispetto alla nostra bistrattata città. Ciò che colpisce non è tanto la cronica penuria di truppe di festanti turisti durante il periodo invernale (la qual cosa rappresenta, invero, una costante per tutta l’isola), quanto piuttosto la loro presenza improvvisa in sole due occasioni durante l’intero anno solare: il giorno della Cavalcata Sarda e quello della discesa dei Candelieri. Punto. A capo e lettera rigorosamente maiuscola. È in quelle occasioni che ti accorgi che la distanza tra le località già consacrate al turismo (vedi Alghero in primis) e la nostra ziddai, non è poi così siderale come si sarebbe creduto precedentemente. Succede quindi che, al di fuori delle già citate date canoniche, qualche sparuto membro del genere ‘turistamsfigatus’ sia sorpreso a vagare, prevalentemente d’estate, naso all’insù e fotocamera al collo, suscitando l’allarmata reazione dei miei concittadini. “Tornate indietro, chi ve l’ha fatto fare, siete matti?” saremmo tentati di suggerir loro. Eh si, perché vedere quegli svagati alieni procedere a tentoni per i viali semideserti di una città che offre loro solo esercizi commerciali sbarrati per ferie, chiese chiuse, musei privi di cartellonistica comprensibile od opportune sezioni multimediali, assenza di indicazioni sui monumenti, obbliga quell’avanguardia coraggiosa ad una presa d’atto obbligata: fare un pronto e definitivo ritorno ai luoghi più ospitali che avevano impunemente abbandonato. Personalmente provo persino un certo senso di pena alla loro apparizione, offrendo una risposta finale alla domanda che avevo ardito porre in principio: “Sassari non potrà mai essere una città turistica!”. E basta. Quantomeno così sarà in eterno a meno di azioni miracolose o eventi trascendentali. Per quanta fantasia provi a sprigionare dalle sinapsi del mio emisfero destro, rimango intrappolato nel parallelepipedo eterno dell’ex Hotel Turritania, nelle archeologie futuristiche del Lido Iride di Platamona e nei crocevia anarchici di Predda Niedda (nella fattispecie, l’unica Zona Industriale del pianeta terracqueo priva di una vera industria). Una città che ha abbattuto un castello, che intitola una piazza a Garibaldi e poi ci mette il busto di Mazzini, che dedica una via al nemico giurato dei sardi Bogino, che lascia invadere l’antica fontana del Rosello dalle erbacce e dai ratti, si può definire in qualsiasi maniera tranne che amica del turista. Eppure basterebbe semplicemente un diverso approccio da parte di volenterosi amministratori per valorizzare, a solo titolo di esempio, uno dei centri storici più ampi e a mio parere suggestivi d’Italia, rendendolo un po’ meno a portata di vandalo e un po’ più fruibile a tutti. Basterebbe fornire delle agevolazioni alle attività che intendano sollevare le loro serrande proprio là, dotando le sue talvolta pregevoli abitazioni di una cartellonistica adeguata, inserendo fioriere, scoraggiando gli atti vandalici mediante un apposito sistema di videosorveglianza, allestendo mostre itineranti e rappresentazioni all’aperto, creando un servizio di trasporto elettrico e di car/bike sharing. Basterebbe, riassumendo,possedere la volontà di trasformare l’inevitabile decadenza in necessaria opportunità, basterebbe convertire una slavina di sterili parole in concretezza, affinché Sassari possa entrare di diritto tra quei luoghi che attraggono anziché respingere. Basterebbe volerlo. Io lo voglio, ma voi?

Andrea Deiana

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