“Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza … Noi quindi dovremmo proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti. Dovremmo insomma proclamare che ogni movimento che predica l’intolleranza si pone fuori legge e dovremmo considerare come crimini l’incitamento all’assassinio, al ratto o al ripristino del commercio degli schiavi”.

Quello appena citato costituisce il celeberrimo ‘Paradosso della tolleranza’, postulato dal filosofo ed epistemologo Karl Popper nel 1945 e che, alla luce di quanto osserviamo nella realtà sociale contemporanea, non può considerarsi affatto superato. L’estrema sintesi del pensiero Popperiano genera appunto un paradosso, ovvero una conclusione in apparente contraddizione con la logica, ma che alla luce dell’esame critico si rivela perfettamente valida: in tal senso il trionfo della tolleranza si raggiunge utilizzando come mezzo non la tolleranza, bensì l’intolleranza.

Per azzardare un’analogia sarebbe come dire che per fare vincere il bene sul male bisognerebbe utilizzare il suo antagonista oppure che per eliminare il razzismo bisognerebbe essere adottare un comportamento razzista verso gli stessi razzisti.

Nell’elegante ragionamento del pensatore austriaco naturalizzato britannico influì certamente il periodo storico, fortemente condizionato dalle ideologie ultranazionaliste che avevano condotto alla seconda guerra mondiale, in cui le violente smanie intolleranti e xenofobe del nazismo fecero precipitare l’umanità verso la catastrofe, risolta grazie all’ulteriore paradosso delle tragiche esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, ovvero l’estremo atto di violenza necessario per fare cessare la violenza e riportare la pace.

L’attuale millennio ha visto spostarsi radicalmente l’attenzione delle ideologie dai luoghi fisici di piazze o posti di lavoro verso la realtà virtuale di schermi televisivi o di piattaforme social, in cui l’intolleranza indossa la comoda maschera dell’anonimato oppure si nutre della divulgazione delle fake news, impedendo al sistema cosiddetto civile di attuare l’argine auspicato da Popper.

E allora eccoli moltiplicarsi come cellule metastatiche i nuovi intolleranti, i leoni della tastiera, pronti a lanciare l’offensiva contro tutto e contro tutti, impegnati nella continua guerriglia verbale in grado di causare ancora più vittime e più danni rispetto alle guerre convenzionali, generando un movimento basato non certo sul confronto civile e sulla conoscenza quanto piuttosto sulla provocazione e il suo gusto per la stessa.

Ma anche le moderne democrazie, in particolare quella statunitense, nonostante dichiari di affondare le proprie radici proprio sul concetto della tolleranza e nel confronto aperto delle idee, dimostra tutta la propria ipocrisia di fondo nei fatti, come nella mai risolta questione razziale che si concretizza ancora oggi nella vergognosa disparità di successo tra bianchi e afroamericani, oppure ancora nell’incredibile percentuale di persone rinchiuse nelle carceri del Paese per i cosiddetti “reati di opinione”.

Un ulteriore ed ancora più eclatante esempio di chiara intolleranza verso il pensiero opposto ci è stato recentemente donato dal presidente uscente Donald Trump, quando ha incitato la folla ad un’azione violenta tradendo in pieno il proprio mandato ed i valori fondanti della stessa democrazia, che pur avrebbe dovuto rappresentare e garantire.

Ma dappertutto nel mondo si assiste a dibattiti pubblici mediatici in cui esce vincitore non certo chi argomenta nella maniera più convincente, bensì chi urla più forte dell’altro, recitando lo squallido teatrino che riempie di immondizia verbale l’etere, generando il caotico rumore di fondo in grado di annebbiare le nostre coscienze di esseri pensanti, fino a farci regredire allo stadio primordiale di spettatori passivi, immolati al sacro Dio dell’omologazione e del conformismo.

Sarebbe comunque un’inesattezza considerare la tolleranza come una virtù e viceversa l’intolleranza come un difetto, poiché come in ogni sistema duale l’uno esiste per dare valore all’altro, ed in assenza dell’uno il secondo sarebbe solamente una pura teorizzazione, esattamente come la religione trae origine e nutrimento dal principio di un’entità suprema e senza la quale perderebbe la propria essenza.

E sempre a proposito di religione, come non citare il celeberrimo esempio dell’episodio biblico di Abramo che, per dimostrare la sua fede incondizionata in Dio, obbedisce al terribile comando di sacrificare suo figlio Isacco, generando il paradosso dell’amore che per trionfare ha necessità della violenza per nutrirsene, mostrando nel contempo la cieca aderenza verso il sistema dogmatico, humus sul quale prolificano tante religioni.

Al termine di questa disquisizione sul paradosso della tolleranza, vorrei concludere citando l’affermazione che a mio parere meglio ne sintetizza lo spirito, pronunciata da Umberto Eco nel 2015, in occasione del conferimento dell’ennesima laurea honoris causa: “I social media danno diritto di parola a intere legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo qualche

bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel”, rendendo paradossale che a pronunciare un pensiero tanto intollerante sia stato proprio lo studioso che primo tra tutti ha studiato gli effetti benefici di internet sulla fruizione universale del sapere.

La nostra vita, del resto, è variegata come lo sono i concetti espressi dalle parole, ovvero un infinito caleidoscopio di colori che vanno dal bianco al nero e dal buio alla luce, procedendo talvolta in una direzione e talvolta verso quella opposta.
Null’altro che questo, solo un costante caos modulato da un impercettibile rumore di fondo chiamato vita.
Perciò, che una certa dose di sana intolleranza sia sempre con voi, persino nei confronti di questo mio scritto. Amen.

 Andrea Deiana

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