Certamente in molti ricordano il professor John Keating, fortunato personaggio cinematografico interpretato da Robin Williams nell’ATTIMO FUGGENTE, film acclamato da pubblico e critica nel 1999 (Dead Poets Society, regista Peter Weir).

Ebbene, tantissimi in città ci segnalano che esiste un esempio tutto sassarese di questa figura, un professore che pare usi metodi alternativi di insegnamento e sia stimato dai suoi tanti alunni.
Dopo un primo breve colloquio telefonico il professore non vuole riceverci, non vuole pubblicità, non vuole apparire. Atteggiamento che gli fa onore, in verità. Desistiamo, non vogliamo disturbarlo.
Senza perdere una goccia di quell’onore ci richiama il giorno dopo e ci permette di porgergli qualche domanda, ma mette in chiaro le sue regole: niente foto, niente nomi, niente classe e liceo dove insegna.

Come mai queste regole… possiamo chiamarla professor Keating?
No, rifiuto l’abbinamento, non me ne voglia. Io non sono speciale e non faccio nient’altro che il mio mestiere. Tutta questa attenzione mi disturba e mi distrae.

Come mai non vuole essere intervistato, lei non è forse O CAPITANO, O MIO CAPITANO?
Nient’affatto! Non voglio diventare un caso perchè il rischio di banalizzare tutto è altissimo, e anche di rendermi quel personaggio che non sono, sono davvero uno semplice che parla chiaro, non sono nessuno, mi avete sopravvalutato.

Qualcuno l’ha paragonata al professor John Keating dell’attimo fuggente, come mai?
Questa cosa mi fa ridere. Ne abbiamo parlato in classe, qualcuno ha visto il film e ha detto che somigliavo fisicamente a quel personaggio. Ma io non faccio niente di alternativo, faccio ciò che dovrebbe fare ogni insegnante.

Cioè, in pratica, cosa fa?
Glie l’ho detto. Insegno, come tanti.

Lei rifiuta la somiglianza o il film?
Il film è un bel film, anche se è lontano dal tipo di insegnamento classico che si può incontrare nei nostri licei, ma anche in quelli inglesi.

Lei ha insegnato all’estero?
Non rispondo ad alcuna domanda che mi possa identificare, le ripeto: non sono diverso da tanti insegnanti che svolgono con attenzione il proprio lavoro.

E che dovrebbe fare invece ogni insegnante?
Non esigere che i discenti imparino la lezione a memoria, evitare che ripetano nozioni non comprese… ma che invece cerchino da soli la via, che acquisiscano strumenti critici per leggere la realtà.

E come si fa?
Si fa confrontandosi, ascoltandosi, accettando punti di vista diversi anche se non condivisibili, rispettando le opinioni degli altri come ricchezza. Lavorando sul gruppo e sul singolo individuo, acquisendo la consapevolezza del proprio ruolo del mondo, tutti utili e nessuno indispensabile.

Lei cosa insegna?
La mia materia è letteratura italiana, ma potrei dirle che con i ragazzi parliamo di filosofia, di storiografia, di geopolitica, forse la mia è semplicemente letteratura comparata. Ah, no… non dovevo dirglielo!

Comparata a che?
A tutto ciò che si può comparare con la scrittura, dalla storia di famiglia di un poeta ai quadri che da quella poesia hanno tratto ispirazione, alla filosofia, alla storia del pensiero, al diritto giuridico…

Bellissimo, ma poi all’esame come faranno, quando la commissione porgerà loro una domanda difficile?
Non esistono domande difficili, esistono solo questioni di cui non abbiamo risposte. Ci si può sempre avvicinare alla verità o, in caso di difficoltà, leggere in diretta ed esprimere un’opinione.

Un suo alunno ci ha raccontato che una volta ha chiesto a tutti di togliersi le scarpe, è vero? E perchè?
Sì, scarpe e calze per qualche minuto. Volevo che capissero che non dobbiamo dar niente per scontato, che ogni giorno bisogna dire grazie per il tetto che abbiamo sopra la testa e ci ripara dalla pioggia. Potevamo nascere un po’ più a Sud, è solo il caso che ci ha portato qui. Volevo che leggessero la realtà da una prospettiva differente, non scontata.

Vede che lei è speciale… quanti altri docenti fanno esperimenti del genere?
La domanda è: quanti docenti dovrebbero farlo? Ma ognuno ha i suoi metodi, il mio mi sembrava solo molto diretto ma semplice, e poi è durato pochi minuti.

Qual è il suo autore italiano preferito, di tutti i tempi?
William Shakespeare! Shakespeare è molto italiano! Che vuol dire italiano? Nato in Italia, vissuto in Italia, che ha sognato l’Italia anche se non ci viveva? Queste sono le domande, i dubbi che instillo nei miei allievi. Il dubbio è il padre del sapere, seminare dubbi e non raccogliere certezze è il ruolo di ogni esploratore.

Lo ha detto lei?
No, magari, lo ha detto Norberto Bobbio, tanto tempo dopo tanti altri.

E come mai preferisce far studiare i testi di Battiato a quelli di Leopardi?
Franco Battiato è un letterato, come pure De André. Non sostituisco Battiato a Leopardi, lo uso come freccia per arrivare ad argomenti comuni a tante letterature. Che senso ha studiare Leopardi senza inquadrare il suo tempo, il rapporto con il padre, le sue condizioni di salute? Come si può spiegare la Deledda senza sapere nulla della geografia della Sardegna?

Lei ammette, comunque, di essere un insegnante atipico.
Ma questa dovrebbe essere la norma! Non un insegnante come me, intendo, ma l’atteggiamento verso la materia, l’approccio verso i ragazzi, il riconoscimento del ruolo della scuola…

Che ruolo ha la scuola?
Un ruolo di responsabilità, con sempre più famiglie che alla scuola hanno abdicato anche l’educazione. Con la differenza che se la scuola si permette di educare le famiglie insorgono.

Capita anche a lei?
Io non educo, io istruisco e regalo strumenti. Starà poi ai ragazzi scegliere come usarli. E, devo ammetterlo, sono stato fortunato con le famiglie della mia classe, sono tutti dalla mia parte.

Secondo lei come mai?
Credo che le famiglie si rendano conto che i loro figli non sono annoiati, anche quando oziano lo fanno in maniera creativa, ma questa potrebbe essere presunzione…

Che faranno da grandi i suoi allievi, lei cosa spera?
Che facciano ciò che vogliono, che cerchino la loro strada, che non si perdano inseguendo falsi idoli. E che sbaglino, se è necessario per crescere. Vede… anche io sono una persona banale.

E lei che fine farà?
Spero non quella del professor Keating, e nessuno dei miei alunni quella della storia raccontata al cinema.

Cosa ricorda di quel film, quale citazione?
La frase di Thoreau, ovviamente, e un senso di spensieratezza delle campagne inglesi in inverno, mi ricorda i miei vent’anni: “Andai per i boschi perchè volevo vivere con saggezza, in profondità, succhiando tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”.

Se invece dovesse trovare una frase che appartiene al suo modo di insegnare, chi citerebbe?
Henry Laborit, il suo elogio della fuga: “Io spero in una cultura che marini la scuola e che, col naso imbrattato di marmellata, i capelli arruffati e i pantaloni sformati, cerchi tra i cespugli dell’immaginazione il sentiero del desiderio”.

E da chi dovrebbero fuggire questi studenti, dalla scuola, da lei?
Mi auguro non da se stessi. Ma certamente anche da me, mica sono la loro guida! Che non seguano le mie impronte, ma che vadano invece a cercare ciò che tutti cerchiamo, la verità.

Posso farle una foto?
Assolutamente no, ma può fotografare il dvd di uno dei miei film preferiti vicino ad una bottiglia di vino sardo. Che sia di ispirazione per tutti.

E poi?
E poi la stappiamo, gliene offro un bicchiere… e alla fine mi auguro lei si levi dalle palle e mi lasci in pace.

Guardi, allora brindo con lei e poi faccio la foto da fuori.
Da fuori dalla finestra, perfetto, lei ha capito tutto.

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